16 febbraio 2010

Manganelli - Il piacere di pagare le tasse (audiolettura)

Giorgio Manganelli

C’è un altro (e poco noto) lato di Giorgio Manganelli, lontano dalle funamboliche acrobazie verbali con le quali ha arricchito la letteratura italiana. È quello di corsivista per svariati quotidiani e riviste come il «Corriere della Sera», «La Stampa», «Il Messaggero», «Il Giorno», o «L’Espresso».
Il pezzo che segue è stato scritto per «Il Messaggero», pubblicato il 29 maggio 1986 col titolo “Il piacere di pagare le tasse”, ed è tratto dalla raccolta Mammifero italiano che Adelphi ha pubblicato nel 2007.

Stamane ho pagato le tasse. Come ogni volta, ho avvertito un oscuro, profondo, incomprensibile piacere. Non avete capito male: pagare le tasse mi dà una gradevole indubitabile eccitazione. Non  lo nego: è una faccenda strana. Anomala. Stravagante. Ne ho parlato ad un mio amico psichiatra – ho molti, affettuosi, cauti e solleciti amici psichiatri – che mi ha guardato con un sorriso non privo di tenerezza.

Mi sono chiesto spesso: perché, vecchio idiota, ti fa piacere pagare le tasse? È del tutto chiaro che in questo compiacimento non v’è traccia di esibizionismo civico; non mi offro come modello, come esempio del buon cittadino, virtuoso come un antico spartano. Come tutti gli italiani degni di questo nome, io sono un cittadino mediocre, diciamo pure scadente. So di esserlo, sebbene non sappia dire esattamente in che modo si esprima codesta mediocrità. Lo sono globalmente, come uno è avvocato o padre di famiglia. Segni particolari, nessuno.

Credo che tutti gli italiani si sentano più o meno a questo modo. Se l’inglese è impeccabile, o lo era, se l’americano è espansivo, e il tedesco efficiente, l’italiano è colpevole. L’italiano non si stupisce se qualcuno viene arrestato, mai. Lo trova naturale. Solo silenziosamente si stupisce di non essere lui, l’arrestato. Qualcuno recentemente ha scritto che gli italiani dovrebbero fare tutti qualche mese di carcere. Suppongo che il proponente si considerasse estremamente paradossale. In realtà, interpretava l’inconscio collettivo italiano. Gli italiani, man mano che invecchiano, sempre più si rallegrano e stupiscono di non essere mai stati arrestati. Per l’italiano, il fatto di non essere in galera è semplicemente un segno che da noi lo Stato non funziona. E come potrebbe funzionare, avendo dei cittadini come lui? L’italiano libero è semplicemente un italiano che l’ha fatta franca.

Qualcuno mi dirà: ci stavi parlando delle tasse. È vero: ma non ho cambiato argomento. Personalmente, compiango l’evasore fiscale. Questa figura classica del « cattivo cittadino » evita l’unica forma di riscatto che lo Stato gli offre. Se gli va bene, nel momento in cui evade il fisco ribadisce il suo italiano senso di colpa; si sentirà furbo e scadente. Se non gli riesce, sarà punito, e cadrà nella categoria risibile di coloro che non l’hanno fatta franca. Ho usato la parola « riscatto », a proposito: poiché gli italiani si sentono a piede libero, dunque in una condizione precaria e fragile, sanno di essere ricattabili: poiché non amano lo Stato, e lo Stato non li ama, gli sembra naturale che gli venga chiesto un riscatto, come fanno i sequestratori.
Forse è questo il segreto piacere che mi dà pagare le tasse. Io pago, e lo Stato non mi getta in prigione. Vengo restituito a me stesso. Quando esco dalla banca, corro a prendere l’autobus con passo leggero. Sono un evaso con i documenti in regola. È meraviglioso.

Da Giorgio Manganelli, “Tasse II”, in: Mammifero italiano, Adelphi, Milano, 2007



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