28 settembre 2022

La soffitta dei segreti


Era appena uscito fuori da un vecchio libro impolverato. Un enorme, ingiallito, vecchio libro impolverato. Sul pesante frontespizio campeggiava, nell’imperituro rumore di una soffitta malandata, una scritta dorata: Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carrell. Si guardò intorno con insolito stupore e dovette constatare, con non poca gioia, che finalmente non era più seduto a quel monotono tavolo da tè a prendere del monotono tè con le stesse monotone creature: la Lepre di Marzo e il Ghiro. 

Era in un luogo diverso ed era solo. I primi minuti trascorsero nell’osservazione accurata e veloce della stanza: era piccola e buia. Sul soffitto stava sospesa una minuta finestra da cui entrava un raggio di sole, reso visibile da una sottile nebbiolina, in uno spazio che sembrava quasi onirico. Scatole e vecchi libri erano ammassati al centro e in alcuni degli angoli; le pareti erano rigorosamente a pois colorati, ad eccezione di una, sulla quale era disegnata, con un’improbabile tecnica che oscillava tra una tempera troppo sbiadita ed un acquerello troppo coprente, un’immagine di Gatto Silvestro e Titti su una barca in mare. Il Cappellaio (Matto, così lo definivano alcuni…) strizzò gli occhi e la testa cominciò a girargli in un vortice inarrestabile. Era così confuso… Si era appisolato un momento appena nel paese delle meraviglie e… oooohhh! Si era risvegliato in quel mondo sconosciuto. Avrebbe voluto incontrare un’altra anima in quell’angusto luogo, alla quale chiedere dove si trovasse e perché fosse lì. Il suo sguardo ansioso continuava a vagare, ma vana era la ricerca. Istintivamente, prese dal taschino il suo vecchio orologio a cipolla, che – nonostante segnasse sempre le sei – lui era solito impugnare per il solo gusto di avvertirne tra le mani il freddo dell’acciaio. Lo guardò con distrazione e… che cacchio… ma, insomma, non solo aveva le lancette sulle dieci e trenta, ma le stesse ticchettavano con rinnovato vigore! “Ma come! La Regina di Cuori mi aveva detto che il Tempo lo avevo assassinato!” Questa felice constatazione risollevò il suo cuore smarrito e per qualche istante immaginò di tornare a casa sua, senza essere costretto a star seduto al suo tavolo a sorseggiare del tè con due commensali che – a dire il vero – erano di poca compagnia. Il Tempo lo informò che era già passata qualche ora dal suo arrivo nella soffitta e lo Spazio gli fece notare che aveva tutto il diritto di fare un giretto nella stanza, dato che non si era minimamente mosso. “Che bello! Tornerò a fare bellissimi cappelli! Colori, fiori, nastri e fiocchi, sarà l’apoteosi del mio genio creativo e tutti avranno un copricapo personalizzato! Sarà fantastico! E nelle pause berrò caffè! Finalmente!”. Pensò anche ad Alice, che ormai era diventata una donna sicura e determinata e forse di lui neppure si ricordava. Era ancora assorto quando sentì un insolito rumore, come se qualcuno o qualcosa di molto pesante si fosse seduto sul pavimento con fare grossolano. Si alzò un’improvvisa, accecante nebbia di polvere e ci vollero almeno tre minuti prima che il Cappellaio potesse comprendere quanto accaduto. “E tu chi sei?”, chiese all’inquietante creatura comparsa dal nulla. C’era ancora una leggera foschia che impediva di vedere nitidamente, ma il Cappellaio pensò: “Ma che razza di essere è mai quello! Mai visto! Persino nel paese delle meraviglie…” La creatura tentò con comica goffaggine di alzarsi, ma era come se la testa fosse un fardello troppo pesante che faceva ripetutamente sprofondare il corpo verso il basso…
Già, la testa… Ommioddio! Quella era un’autentica testa di asino!!! Con tanto di orecchie e peli ovunque!!! E su un corpo di uomo!!! Il Cappellaio Matto era sul punto di impazzire davvero stavolta.

- Buon pomeriggio, signor Testadasino!”

Poi meditò un istante su quanto aveva detto: “Buon pomeriggio… In realtà, io non so che ore siano… Che bizzarra situazione! Il Tempo è di nuovo mio amico, non è più fermo all’ora del tè… Oh, che maleducato… E se fosse mattina? O piena notte? Il mio nuovo conoscente avrà pensato che sono pazzo!”
Poi lo scrutò con rinnovato interesse… “Beh, un tizio con una testa d’asino così grossa non baderà certamente al mio saluto!” Riprese:

- Allora, signor Testadasino, anche lei qui… Che sollievo vedere un’altra pers… creat… mostruos… ehm… sì, un altro essere vivente oltre a me!

Il suo incredibile interlocutore, finalmente, parve accorgersi di lui. Girò lentamente l’enorme testone e lo guardò dritto negli occhi. Poi si prostrò in un profondo, sgraziatissimo inchino:

- Sono molto lieto di fare la tua conoscenza… Sei un artigiano anche tu? Forse un cappellaio?

E alzò, stavolta con un gesto repentino, il mento per meglio osservare il capolavoro del Cappellaio: oh, quello sì che era il re dei cappelli, l’apoteosi dei copricapi, la star di tutti i cilindri! Sormontato da un tripudio di fiori e frutta, impreziosito da minute gemme variopinte, ornato con discreti merletti a punta, con il suo giallo riempiva di luce, calore e colore ogni angolo buio del mondo… o almeno di quella soffitta. Il Cappellaio, ringalluzzito dalla sua discreta ma penetrante eleganza, che – a quanto pareva – aveva fatto breccia nel cuore dell’asino, esclamò (anzi… a dirla tutta… urlò…):

- Sì, hai indovinato! E tu, invece, perché hai quell’impressionante testone? 

Mentre lo diceva, pensò alla Regina di Cuori e scoppiò in una fragorosa risata. Messer Testadasino divenne improvvisamente triste, si sentì ferito e, abbassato lo sguardo, cominciò a piangere sommessamente…

- No, no, non ridevo per te! Scusami… 

- E perché allora? 

- Sai, nel paese da cui provengo c’è una regina con un capo immenso, molto più grande e… brutto del tuo… un capo deforme, ecco. – Sorrise.

- Ok, ok. Se vuoi ti racconto la mia storia. 

- Ben lieto di ascoltarla! 

Si sedettero l’uno di fronte all’altro. E questa volta il Tempo lo ingannarono davvero.

- Non conosco il motivo per cui mi trovo in questa stanzetta… In realtà, ho espresso il desiderio, ma non pensavo potesse avverarsi, di lasciare per un po’ il mio mondo per conoscere quello vero… 

- … Anch’io! Mi sentivo prigioniero in casa mia, seduto ad un tavolo dinanzi a una tazza da tè senza tè. O col tè. Non fa differenza. Non è questo il punto. Ma ti prego, comincia. Sono impaziente di ascoltarti. 

- Sono stato generato dal genio immortale di Sir William Shakespeare, diversi secoli fa. Con la stessa luminosità degli astri ed il rosso calore del fuoco d’inverno, la sua grandezza ha attraversato i confini della Storia, ha vagato oltre i mari, ha dominato i sogni, ha posseduto cuori e menti. Io fui concepito nelle tenebre, insieme a protagonisti che avrebbero presto occupato il loro ruolo sul palcoscenico del teatro elisabettiano: Oberon, Titania, Puck, Lisandro, Ermia, Demetrio e Elena. Fui reso parte di un’opera alla quale l’umanità applaude ancora, con immutata emozione; fu un onore essere uno dei personaggi del Sogno di una notte di mezza estate. Sir William ci calò in un minuscolo universo incantato, dove creature umane dalle esistenze ordinarie coabitano con fate e folletti, che affollano durante la notte le selve ateniesi. A me fu dato il nome di Nick Bottom. Ero un artigiano della città, un tessitore, intento a provare nel bosco una rappresentazione teatrale che avrebbe dovuto allietare le imminenti nozze di Teseo ed Ippolita, regina delle Amazzoni. Nessuno di noi sapeva che tra gli alberi e le piante si annidassero misteri ed insidie, ma presto io lo avrei scoperto… e a quale prezzo… Sullo sfondo dei volubili sentimenti di quattro giovani della città, la regina ed il re degli elfi, Titania e Oberon, ebbero un violento litigio: si contendevano, infatti, il figlio di un’amica umana di Titania, per il ruolo del paggio. Il bimbo rimase a Titania e questo dispiacque a suo marito, a tal punto da ingaggiare il folletto Puck per eseguire un incantesimo sulla moglie. Nel cuore della notte, Puck si avvicinò silenziosamente alla regina addormentata e versò sulle sue palpebre del succo di viola, affinché al suo risveglio si innamorasse della prima creatura incontrata, umana o animale, cedendogli il bambino senza protestare. Era questo il compito affidato a Puck. Ma il folletto dispettoso mi fece uno scherzo: avevo indosso un costume con la testa d’asino e, per un’infausta malia, quando provai a toglierlo, non ci riuscii. Ero orribile. Tutti i miei amici fuggirono via terrorizzati. Mi sentii solo e incredibilmente triste. La sorte beffarda volle, per compiacere se stessa e Oberon, che fossi proprio io colui del quale Titania si invaghì. Trascorremmo momenti di estrema dolcezza, ma io mi sentivo come se tutta l’infelicità del mondo fosse piombata su di me. Il re degli elfi aveva ottenuto ciò che voleva e, finalmente, perseguito il suo scopo, sciolse la sua signora dall’incantesimo e liberò me da quelle grottesche sembianze. Sogno di una notte di mezza estate è uno spettacolo a lieto fine: tre matrimoni celebrati - quello di Teseo ed Ippolita, Lisandro ed Ermia, Demetrio ed Elena – e la nostra rappresentazione inscenata. Ed io, nei panni di Piramo, faccio sempre una gran bella figura! 

Nick Bottom alzò lo sguardo verso il soffitto della soffitta e, sognando la gloria del palcoscenico, sorrise con aria trasognata. Fu riportato alla realtà dalla voce entusiasta del Cappellaio Matto.

- Cacchio! Ma è una storia bellissima! Ma è semplicemente grandioso! Ed io che pensavo che tu fossi nato dall’immaginazione perversa di qualche scrittore sconosciuto… Nel paese delle meraviglie, da cui provengo, si vociferava che esistesse questo immenso autore di commedie e tragedie, questo sir William… Ma mai nella vita avrei pensato di avere l’onore di conoscere uno dei suoi personaggi e, per giunta, in una soffitta polverosa.

- Grazie, Cappellaio! Adesso però tocca a te. 

La loro chiacchierata continuò così fino a notte fonda e, tra risate e ricordi, videro affacciarsi con timidezza le prime luci del nuovo giorno. Il Cappellaio parlò con sentita commozione di casa sua, dei suoi amici, della Regina di Cuori e soprattutto di Alice. Sentì improvvisa la mancanza della sua ora del tè e dell’immobile stabilità del suo Tempo fermo alle sei. Nick Bottom espresse il suo orgoglio di creatura shakespeariana nel rammentare l’adattamento musicale di Sir Henry Purcell del 1692, in cui lui fu il protagonista assoluto. Condivisero un pezzetto della loro esistenza in quell’angolo forse dimenticato dall’universo. Avevano bramato di conoscere il mondo, quello vero, che avevano costruito nelle loro menti innumerevoli volte, fantasticando sulle montagne e le cime innevate, sugli oceani ed i pesci multiformi e variopinti, sui boschi e le città, sulle verdi rive dei fiumi ed il calore iridescente dei vulcani, sulle variabili cromie del cielo e delle nuvole, sull’immensità sempiterna delle stelle e della luna. Con un salto nell’ignoto erano usciti dalla letteratura e dalla sua affascinante mistificazione per andare incontro ad una verità, che avrebbe loro aperto gli occhi sull’assoluto. E invece… Usciti dai loro libri, si erano ritrovati lì, in un cantuccio ricoperto di sporco ed oblio. Non avevano visto nulla della realtà degli uomini, né una montagna, né un brandello di oceano. Eppure, erano felici del loro incontro. Il caso si era burlato di loro – così avevano creduto – ma l’amicizia appena sbocciata lo aveva lasciato senza armi e, nell’intimità di quel luogo privo di bellezza, Nick Bottom e il Cappellaio Matto avevano compreso che non esiste l’assoluto, che ogni singolo istante è il frutto della nostra percezione e può diventare un’esperienza indimenticabile. Avevano scoperto che l’infinito è in noi e diventa tale nel riflesso degli altri. Avevano sentito, per la prima volta in tanti anni, che la loro vita potesse essere davvero completa nell’incontro tra due anime, solo un istante prima lontane. L’orologio, prima fermo all’ora del tè, aveva ripreso a ticchettare grazie alla loro leggera allegria. E le ore persero l’orientamento nell’inedita dimensione dell’intensità di quei momenti. Fu una notte magica, di una magia nuova, diversa da quella dei loro mondi, difficile da descrivere; quella magia nascosta in un sorriso, in una carezza, in uno sguardo amorevole, che va oltre i pregiudizi e gli stereotipi, che travalica le mode e le stagioni, che si annida nei cuori, per sempre. L’abbraccio del sole fece sentire ai nuovi amici la malinconia di casa e, quando si guardarono per l’ultima volta prima di rituffarsi nei vecchi libri pieni di polvere e rosicchiati dall’incuria e dai topi, si sentirono in pace e felici. Quando, diversi anni dopo, la bambina ormai grande, figlia dei proprietari di casa, salì in soffitta per riprendere i suoi libri d’infanzia, fu travolta da profonda meraviglia: in Alice nel paese delle meraviglie, accanto al Cappellaio Matto trovò una piccola immagine raffigurante una creatura con una testa d’asino e di fianco a Nick Bottom, nel Sogno di una notte di mezza estate, il disegno di uno stranissimo e stravagante cappello le fece sgranare gli occhi. Non comprese. Ma, dopotutto, ciò che era avvenuto in quella anonima soffitta doveva rimanere un segreto.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Con il permesso dell'amministratore GRANDE LINDA ! SEMPRE PIÙ!