14 maggio 2024

"Giona o l’artista al lavoro". Creatività e fortuna nel testo di Albert Camus

Albert Camus

Camus affida a questo testo pubblicato nel 1957 il suo pensiero sulla ricerca dell’ispirazione da parte di un artista.
Chi si aspetta la descrizione della vita di un pittore ricca di colpi di scena rimarrà deluso. L’autore racconta una normalità casalinga degna di un lavoratore qualunque. Il lettore non sarà sopraffatto da forti emozioni paragonabili a un caffè forte, ma verrà cullato da una tenue atmosfera simile a una tisana rilassante.

Il protagonista, Gilbert Giona, è descritto come un ottimista ante litteram che aspetta che le cose accadano senza fare nulla per farle accadere. Per lui tutto proviene dalla sua buona stella: si ritiene fortunato perché riesce a dipingere e raggiungere il successo senza particolari sforzi. Incontra e sposa Luise, la donna che si occuperà di ogni incombenza, sollevandolo da qualsivoglia responsabilità.

Camus abbandona Giona al suo destino con la convinzione che non agire e affidarsi al fato sia l’unica strada percorribile per affrontare la vita.
Dello stesso avviso è Tom Hodgkinson che ci invita a:

Contemplare il cielo, dormire più del necessario, diventare come Walter Benjamin che passeggiava per Parigi col suo taccuino in mano e una tartaruga al guinzaglio. 

Oscar Wilde nel saggio Il critico come artista sostiene che: 

L’inazione è nobile, mentre l’azione è il rifugio di persone che non  hanno assolutamente niente da fare, la sua base è la mancanza di fantasia, è l’ultima risorsa di coloro che non sanno sognare.

Di parere opposto sono coloro i quali ritengono che: faber estsuae quisque fortunae - ognuno è artefice del proprio destino, da una celebre frase di Appio Claudio Cieco.

Di questo avviso è Ernest Hemingway che dichiara: 

Ogni giorno è un giorno nuovo. Meglio essere fortunati. Ma io preferisco essere esatto. Quindi quando arriverà la fortuna, sarò pronto.  

Machiavelli scrive: 

L'uomo può affrontare, con la virtù, le sfide che  la fortuna gli riserva. Esso, nel decidere della sua vita, deve affidarsi sempre alla dignità della ragione e non al caso.

La prima conseguenza del successo raggiunto dal protagonista è il palesarsi di una moltitudine di discepoli che lo circondano durante il giorno e che si materializzano anche a cena e fino a notte fonda:  

Capì ben presto che un discepolo non è necessariamente qualcuno che ambisce a imparare qualcosa. Il più delle volte, semmai, c’era chi diventava discepolo per piacere gratuito di insegnare al proprio maestro.

Ai discepoli si aggiungono gli amici che sono presenti anche quando dipinge le sue tele:

Era difficile dipingere il mondo e gli uomini e, contemporaneamente, vivere con loro. 

Ma all’improvviso la fama comincia a scemare e il suo successo, come per incanto, svanisce. La folla che lo acclama, lo abbandona. E’ consolato dall’unico amico Rateau, uomo concreto e d’azione, così diverso da Giona e così efficace nel metterlo di fronte alla realtà dei fatti, facendogli capire che le persone non lo amano per quello che è, ma solo per ciò che rappresenta.

Nella prima parte del testo l’autore ci consegna uno scenario familiare che poco si confà all’immaginario collettivo sulla vita di un artista. Invero descrive il protagonista circondato da figli, moglie, amici, in un appartamento dagli spazi angusti, tra rumori e problemi quotidiano di tende, riscaldamento e biancheria da tenere in ordine.
A metà racconto assistiamo ad un efficace cambio di ambientazione che Camus costruisce sapientemente. La scena diventa cupa e ambigua nel momento in cui il pittore perde l’ispirazione e modifica le sue abitudini, trasformandosi in artista maledetto: esce la notte, frequenta donne di facili costumi, si ubriaca in locali fumosi alla ricerca di stimoli creativi.
La breve parentesi bohémienne non produce gli effetti sperati e Giona ritorna alla confortante quotidianità, accolto dalla sua famiglia.

Sono molti gli esempi di artisti che hanno vissuto più di oscurità che di fama, ma nonostante ciò non hanno perso la loro vena creativa. Tra i pittori incompresi il più rappresentativo è Vincent Van Gogh che ha conosciuto continui fallimenti lavorativi e relazionali. Van Gogh scrive al fratello: 

Mi sono rimesso al lavoro, anche se il pennello mi casca quasi di mano e, sapendo perfettamente ciò che volevo, ho ancora dipinto tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli tormentati, e non ho avuto difficoltà per cercare di esprimere la mia tristezza, l’estrema solitudine.

Il compositore Johann Sebastian Bach ricevette in vita pochi riconoscimenti per le sue magnifiche fughe. Scrisse più di mille opere, che furono bocciate dai critici dell'epoca perché ritenute leziose ed enfatiche. Anche lo scrittore Edgar Allan Poe riscosse un limitato successo con i suoi testi e visse come stereotipo dell'artista maledetto tra alcol e debiti.

Tornando al nostro pittore, una volta rientrato in casa, si rifugia nel  soppalco e rimane al buio, cercando di ritrovare la sua buona stella. Ma l’isolamento si rivela controproducente:

Il mondo era ancora lì, giovane, meraviglioso: Giona ascoltava il bel rumore che fanno gli uomini.

Il racconto si conclude nel momento in cui si scopre che il protagonista in quel soppalco, non ha dipinto nulla ma, nella tela bianca, ha scritto una parola di incerta interpretazione: solitario o solidale.
Il finale criptico può essere compreso avvalendoci delle parole pronunciate da Camus durante la cerimonia per la consegna del premio Nobel, ricevuto nel 1957.
Per l’autore l’ispirazione e la creatività nascono dal rapporto con gli altri, quindi l’uomo-artista deve essere solidale. Alcuni passaggi del suo discorso lo confermano:

Personalmente non potrei vivere senza la mia arte, ma non l’ho mai posta al di sopra di tutto: se mi è necessaria, è invece perché non si estranea da nessuno e mi permette di vivere come sono al livello di tutti. L’arte non è ai miei occhi gioia solitaria ma obbliga l’artista a non isolarsi e lo sottomette alla verità più umile e più universale. L’artista si forma in questo rapporto perpetuo fra lui e gli altri, a mezza strada fra la bellezza di cui non può fare a meno e la comunità dalla quale non si può staccare.

Di parere opposto chi invece ritiene che l’uomo-artista deve essere solitario. Albert Einstein afferma che: 

La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato.

Per Fabrizio De André

La solitudine può portare a forme straordinarie di libertà.   

Giacomo Leopardi, è convinto che l’isolamento rafforza la poesia:

La solitudine è come una lente di ingrandimento. Se sei solo e stai bene, stai benissimo. Se sei solo e stai male, stai malissimo.

Questa riflessione potrebbe distogliere il lettore dalla tisana rilassante per costringerlo a sostenere l’una o l’altra tesi, dividendosi tra chi preferisce l’artista solitario e anticonformista e chi lo immagina come un uomo immerso nella routine quotidiana e solidale con l’umanità intera. Al netto di ciò, si può affermare che il fascino dell’artista inquieto che sfida le convenzioni suscita un’innegabile attrattiva al pari di una tazzina fumante di caffè forte. 

Catia Mattiuzzo

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