Teatro, arte antica che abbraccia popoli di tutto il mondo, è racconto di vite, di anime, di possibilità. È corpo che si muove e voce che si innalza a pochi passi dal pubblico che si riconosce, applaude, riflette. Nel tempo, il teatro, nonostante l’arrivo delle arti tecnologiche, è ancora qui e, nella sua purezza, resta ancora in vita come una certezza, ovvero quella per la quale gli esseri umani hanno bisogno di essere raccontati. Fra i vari artisti che per anni hanno calcato palcoscenici di tutta Italia, facendo conoscere e rendendo ancor più grande l’arte teatrale, vi è Dario Fo.
Il 1969 è l’anno della prima messa in scena dell’opera forse più famosa e più importante di Dario Fo, Mistero buffo, che mette in primo piano la cultura popolare del passato e testi del periodo medievale. Nel 1977, dopo i suddetti anni di allontanamento dalla televisione, quest’opera viene mandata in onda in RAI attirando su di sé numerose critiche, fra cui quella di immoralità, da cui il drammaturgo è costretto pubblicamente a difendersi. È lo stesso Fo a spiegare il perché della scelta del titolo Mistero buffo:
Mistero è il termine usato già nel II, III secolo dopo Cristo per indicare uno spettacolo, una rappresentazione sacra. [...] Mistero buffo vuol dire: spettacolo grottesco. Chi ha inventato il mistero buffo è stato il popolo. Fin dai primi secoli dopo Cristo il popolo si divertiva, e non era solo un divertimento, a muovere, a giocare, come si diceva, spettacoli in forma ironico grottesca, proprio perché per il popolo, il teatro, specie il teatro grottesco, è sempre stato il mezzo primo d’espressione, di comunicazione, ma anche di provocazione e di agitazione delle idee. Il teatro era il giornale parlato e drammatizzato del popolo.
A caratterizzare quest’opera è anche e soprattutto la tecnica linguistica utilizzata, originale e molto espressiva, ovvero quella del grammelot, che consiste nell’accostamento di suoni ed elementi lessicali di diversi idiomi regionali e non solo e che viene così descritta dal drammaturgo:
“Grammelot” è un termine di origine francese, coniato dai comici dell’arte e maccheronizzato dai veneti che dicevano “gramlotto”. È una parola priva di significato intrinseco, un papocchio di suoni che riescono egualmente a evocare il senso del discorso. […] La prima forma di grammelot la eseguono senz’altro i bambini con la loro incredibile fantasia quando fingono di fare discorsi chiarissimi con farfugliamenti straordinari (che fra di loro intendono perfettamente). Ho assistito al dialogo tra un bambino napoletano e un bambino inglese e ho notato che entrambi non esitavano un attimo. Per comunicare non usavano la propria lingua ma un’altra inventata, appunto il grammelot. Il napoletano fingeva di parlare in inglese e l’altro fingeva di parlare in italiano meridionalizzato. Si intendevano benissimo. Attraverso gesti, cadenze e farfugliamenti variati, avevano costruito un loro codice.
Nel 1997, con grande sorpresa, Fo riceve il Premio Nobel per la Letteratura poiché «nella tradizione dei giullari medievali fustiga il potere e riabilita la dignità degli umiliati». Nel comunicato stampa ufficiale con cui si annunciava la vittoria di Fo si legge:
Il teatro di Fo è rappresentato, da lungo tempo, in tutto il mondo. È forse il più rappresentato dei drammaturghi contemporanei e la sua influenza è stata enorme. Se c’è qualcuno che merita l’epiteto di giullare, nel vero senso della parola, questo è lui. Il misto di risa e serietà è il suo strumento per risvegliare le coscienze sugli abusi e le ingiustizie della vita sociale, ma anche come queste problematiche possano essere viste in una più ampia prospettiva storica. Fo è un autore satirico molto serio e straordinariamente versatile nelle sue produzioni. Per la sua indipendenza e perspicacia ha corso grandi rischi e ne ha subìto le conseguenze ma, al tempo stesso, ha raccolto una viva conferma in vasti strati del pubblico. […] La forza di Fo consiste nella capacità di creare testi che nello stesso tempo divertono, impegnano e offrono nuove prospettive. Come nella commedia dell’arte, sono opere sempre aperte ad aggiunte innovative e modificazioni, che continuamente inducono gli attori all’improvvisazione, in modo tale che il pubblico ne viene coinvolto in maniera sorprendente. La sua è un opera di eccezionale vitalità e portata artistiche.
La figura di Fo è stata ben tratteggiata nel documentario di Gianluca Rame intitolato Dario Fo: l'ultimo Mistero Buffo, presentato nella sezione Freestyle della 17a edizione della Festa del Cinema di Roma e attualmente disponibile su Raiplay. Qui si racconta dell’ultimo Mistero Buffo andato in scena il 1° agosto 2016 a Roma, due mesi prima della morte del drammaturgo, e si sottolinea l’importanza dei suoi lavori teatrali anche al di fuori dei confini nazionali. Tante, inoltre, le testimonianze di chi ha conosciuto e amato l’impegno sociale e gli spettacoli di Fo, come quelle del figlio Jacopo Fo, del giornalista e storico Paolo Mieli, del più grande cronista di spettacolo Vincenzo Mollica, della scrittrice Dacia Maraini e dell’attrice Lella Costa.
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