3 maggio 2022

Dallo stato di emergenza allo stato di eccezione ovvero l’eclissi della democrazia

 
Un giorno l'umanità giocherà col diritto, come i bambini giocano con gli oggetti fuori uso, non per restituirli al loro uso canonico, ma per liberarli definitivamente da esso.
Giorgio Agamben

L’evoluzione politica delle democrazie occidentali, e nello specifico quella italiana, evidenzia una preoccupante tendenza che fa dell’emergenza il modus operandi dei governi che si sono alternati negli ultimi trent’anni. Le decisioni più importanti soprattutto in materia economica, non hanno seguito un iter ordinario di discussione e approvazione legislativa, ma un crescente decisionismo dettato da circostanze eccezionali. L’approccio emergenziale nel risolvere i problemi più scottanti: spread, emergenza sanitaria, emergenza occupazionale, economica e persino dei rifiuti, sembrano essere diventati il nuovo paradigma. Questo abuso nel ricorrere alla scelta d’urgenza è chiaramente il sintomo di una degenerazione della forma di governo tradizionale, non più in grado di risolvere nell’ordinarietà i problemi. Tutto ciò fa temere l’avvento di un’epoca dove sia lo stato di eccezione la nuova normalità, una condizione che tuttavia mette in ombra il concetto stesso di democrazia.

L’accelerazione con cui nell’epoca attuale si rincorrono gli eventi non conosce eguali nel passato. Se da un lato tutto ciò enfatizza l’inevitabile impreparazione dei governi nell’affrontare i problemi, dall’altro emerge un’inadeguatezza delle stesse strutture politiche. Bisogna necessariamente aggiungere che spesso molte delle decisioni intraprese negli ultimi anni sono impopolari, sicché è legittimo avere il sospetto che le emergenze possano essere funzionali al salto dei veti che impediscono l’approvazione di certe norme. Inoltre diverse misure propongono delle ricadute nella società del tutto inaccettabili, se non legate a circostanze eccezionali e spesso indotte da un’onda emotiva. Si vedano a tal proposito le tante misure antiterrorismo negli aeroporti a seguito dell’11 settembre 2001. Sono passati più di vent’anni, non c’è più Osama Bin Laden, eppure i controlli restano. 
Apparentemente la cifra della modernità sembra gioco forza andare avanti imponendo dei cambiamenti attraverso emergenze continue che, nel prolungarsi del tempo possono determinare il passaggio verso lo stato di eccezione, dove le leggi sono fuori dal diritto ordinario, e le stesse cessano di essere applicate.

Lo stato di emergenza è ben distinto dallo stato di eccezione sostanzialmente per una funzione temporale, ossia trattandosi di emergenza, le condizioni ordinarie del diritto vengono sospese temporaneamente per poi trovare una normale applicazione alla sua cessazione. Lo stato di emergenza viene dichiarato in caso di terremoto, alluvione o altre catastrofi per cui la temporalità è più o meno definibile. Lo stato di eccezione è invece uno stato di emergenza in cui non è possibile definire un tempo per la cessazione dello stesso, come ad esempio in guerra. Oppure perché sono le istituzioni a non desiderarne la cessazione. 

Lo stato di eccezione deriva dal concetto del diritto romano chiamato iustitium che equivaleva alla dichiarazione dello stato di emergenza. Il termine deriva da ius- legge e -stitium statico, quindi sospensione della legge. In questo modo venivano sospese tutte le attività ordinarie dello Stato. Ad esempio venivano chiusi i negozi del foro, non si ricevevano gli ambasciatori e la magistratura si fermava: in pratica avveniva una sospensione della vita politica ed economica. In altri casi i cittadini venivano allertati per la presenza di un tumultus, ossia una minaccia all’unità della nazione, in occasione di una guerra sul suolo italiano o di un’insurrezione. Nel tempo però questo concetto mutò di significato, poiché in epoca imperiale vennero istituiti gli eserciti permanenti. Sicché il iustitium veniva decretato solo in occasione di celebrazioni religiose, carestie e lutti pubblici come in caso di morte dell’imperatore. 
Ma il iustitium non va confuso con la dittatura, che era una figura prevista dal diritto romano (dictator). Il dictator infatti era un magistrato eletto dal senato in circostanze straordinarie, dotato di poteri eccezionali, ma per un tempo massimo di sei mesi.

In epoca moderna lo stato di eccezione venne previsto per legge in Francia nel 1791 come état de siège e applicato durante il regime del terrore della Rivoluzione Francese. Sempre in Francia esso venne applicato anche in altre occasioni come nel 1848, nonché durante la guerra franco-prussiana e sotto la Comune di Parigi. Altri esempi sono da annoverarsi in maniera generica negli stati belligeranti durante la prima e la seconda guerra mondiale.
Durante la dittatura del Terzo Reich in Germania, la vecchia costituzione della repubblica di Weimar non venne mai ufficialmente eliminata. La costituzione rimase lì, inapplicata per tutti i dodici anni del regime nazista. Così tecnicamente possiamo dire che il Terzo Reich rientra nello stato di eccezione, per cui sospendendo le leggi e la costituzione, la Germania decise l’eliminazione fisica di intere categorie di cittadini e molte altre atrocità.

Colui che ha studiato e teorizzato in maniera rigorosa lo stato di eccezione è Carl Schmitt. Da lui attingiamo buona parte dei concetti, come ad esempio la definizione secondo cui esso è una “sospensione dell’intero ordine giuridico” che le leggi emanate sembrano “sottrarsi a qualsiasi considerazione di diritto” e che anzi la sua essenza sembra essere quella di non attingere alla forma del diritto. Egli inoltre distingue la norma dalla decisione. La prima viene sospesa per fare posto alla seconda. Ma per fare ciò il sovrano (oggi lo chiameremmo il decisore politico, appunto non il legislatore ma il decisore) è colui che sta fuori dal diritto ma vi appartiene in quanto prende decisioni. Da notare che in questi casi le norme restano in vigore ma non vengono applicate oppure sono sospese perché ne è impossibile l’applicazione. Così si riscontra una particolarità. Quando viene normalmente promulgata una legge si dice che essa ha forza di legge in virtù della stessa norma che va attuata. Nello stato di eccezione la norma che avrebbe forza di legge non viene utilizzata (in virtù dell’eccezionalità del momento), spostando la forza di legge alla decisione che in teoria non avrebbe forza di legge. Pertanto può avvenire che a decidere sia un comitato, un dittatore, o un governo democratico il quale prende su di sé la forza di legge. Questa circostanza anomala determina una zona che oscilla tra il diritto e l’assenza di diritto, ossia l’anomia (dal greco a- privativo e nómos= legge, quindi assenza di legge) dove tutto diventa indefinito. Giorgio Agamben afferma che in questo caso la legge si traduce in una sorta di eclissi della legge, per cui permane come il sole eclissato dalla luna, ma non emana più la sua luce.                                                                               

Lo stesso Agamben in un suo libro del 2003 sull’argomento discettava prendendo come spunto il Patriot Act emanato dal presidente degli Stati Uniti dopo l’11 settembre, che autorizzava una detenzione indefinita di cittadini sospettati di terrorismo o di mettere in pericolo la sicurezza nazionale. Questa legge cancellava di fatto lo status giuridico dell’individuo lasciandolo rinchiuso nella prigione di Guantanamo senza processo né diritti. Si pensi a quanti sospetti furono inviati in queste prigioni, lasciati marcire senza alcuna possibilità di difesa (non avevano avvocati, salvo rari interventi di associazioni umanitarie). Queste persone non erano prigionieri, né tantomeno accusati di un qualche reato: erano dei semplici sospettati. Tale arbitrarietà della legge ricorda la situazione degli ebrei nei lager nazisti, privati di ogni identità giuridica. A Guantanamo come nei lager, queste persone erano fuori dal diritto e quindi soggetti a un regime non ordinario. 

I rischi dello stato di eccezione sono stati evocati durante la pandemia da coronavirus. L’emergenza sanitaria ha reso necessaria l’approvazione di crescenti restrizioni, ma soprattutto di regole in continuo divenire. I famosi DPCM di Giuseppe Conte venivano comunicati quasi ogni quindici giorni, modificando le precedenti restrizioni, perfezionandole, creando così una concreta percezione di precarietà giuridica. I DPCM avevano forza di legge senza tuttavia passare dal parlamento, per divenire di fatto delle leggi. Giuliano Scarselli, citato da Agamben in una sua conferenza ha definito al meglio questa situazione:

Se lo Stato, invece di dare disciplina normativa ad un fenomeno, interviene grazie all’emergenza sul quel fenomeno ogni 15 giorni o ogni mese, quel fenomeno non risponde più ad un principio di legalità, poiché il principio di legalità consiste nel fatto che lo Stato dà la legge e i cittadini confidano su quella legge e sulla sua stabilità.

Ciò che è avvenuto in quei giorni è stata la perdita della certezza del diritto:

Se lo Stato, viceversa, altera la normativa in ogni momento, e soprattutto dà l’idea, o addirittura afferma, che quel fenomeno può esser oggetto sempre di nuovi interventi e/o modificazioni, a quel punto quel fenomeno non può più dirsi regolato dalla legge, perché di fatto è invece rimesso alla libertà del potere pubblico, che si attribuisce il diritto di cambiare le regole in ogni momento.

Appare evidente che la stessa percezione di Stato e governo con cui siamo soliti rapportarci vengono meno. Agamben fa notare come la forma dello Stato stia tendendo a mutare in un governo che si spoglia dell’aspetto politico per assumere quello amministrativo, che i politologi americani chiamano The administrative State. Alle figure solite del potere (legislativo, esecutivo, giudiziario) viene aggiunto quello tecnico, come nel caso del Comitato Tecnico Scientifico, il cosiddetto CTS, che per buona parte del tempo dettava la linea da seguire in funzione dell’andamento epidemiologico. Ma c’è da ravvisare anche una crescente tendenza all’utilizzo dei cosiddetti governi tecnici, spesso evocati e poi puntualmente prodotti in tutte quelle circostanze in cui il paese si è trovato ad affrontare delle crisi.        

In questo stato di cose è necessario aprire una parentesi in merito al green pass, che giustamente Agamben identifica come libertà autorizzate. Il green pass infatti toglie delle libertà rendendole autorizzate o a tempo. Pertanto ciò che era scontato in passato oggi diventa concesso. Fa specie notare come al di là delle varie argomentazioni critiche sul green pass, uno dei membri del CTS abbia dichiarato che le misure di restrizione adottate fossero inutili e di dubbia efficacia scientifica

L’accelerazione emergenziale degli ultimi anni ha scardinato tutte le certezze del diritto, concedendo la possibilità di adottare misure illogiche legate a un rischio sanitario, che a questo punto in un possibile allentamento degli equilibri democratici potrebbe domani discriminare dei gruppi etnici, politici o a causa del loro stile di vita. Il governo di una fazione politica che considera l’immigrazione, il clima o l’inquinamento come un’emergenza, potrebbe attuare delle restrizioni con finalità squisitamente politiche finendo col colpire esponenti politici o gruppi troppo critici nei confronti del governo, se non creare un clima di intimidazione come avviene in certi paesi autoritari dove la libera interpretazione delle leggi allarga i campi di accusa. In alcuni paesi formalmente democratici le leggi anti terrorismo consentono di inquisire un cittadino anche per un semplice commento su Facebook. In Ucraina, a causa della guerra il Governo ha arbitrariamente arrestato tutti i membri dell’opposizione filo-russa, senza che nessun organo politico europeo muovesse dubbi di legittimità democratica.

L’allarme riguardo questa deriva politica è stato lanciato dal filosofo Massimo Cacciari e da Giorgio Agamben, le cui preoccupate dichiarazioni sembravamo fino a pochi mesi fa un mero esercizio accademico. Ma la guerra in Ucraina e i problemi di approvvigionamento energetico, di materie prime e di cibo, mostrano all’orizzonte il protrarsi di questa eccezionalità per un tempo ancora lungo. Così l’impianto teorico su cui si fonda lo stato di eccezione sembra essere un’esperienza non più astratta. Resta da capire quale sarà il destino del nostro stato di diritto e con esso anche delle democrazie che oggi paiono svuotate rispetto all’esercizio formale di cui sono rivestite. L’aspetto più importante su cui riflettere è che le grandi sfide cui siamo chiamati nel prossimo futuro sembrano decretare gioco forza l’abbandono della forma democratica per come l’abbiamo conosciuta, nonché un possibile sfaldamento dello stato di diritto.

Davide Mauro

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