Con il termine “cartolarizzazione” s’intende la trasformazione di crediti monetari in titoli negoziabili dematerializzati il cui valore può aumentare o ridursi a un “pezzo di carta straccia”. È una situazione in cui l’arte è sempre più coinvolta e costituisce una metafora del suo decadimento culturale.
L’opera, se pur riprodotta più volte dallo stesso autore, ha raggiunto il suo vertice finanziario in un’asta da Sotheby’s, dove è stata acquistata, per oltre sei milioni di dollari, da un miliardario la cui ricchezza deriva dall’aver fondato una piattaforma per cripto valute. Il neoproprietario, inoltre, ha subito dichiarato che quando l’opera gli fosse pervenuta, avrebbe mangiato la banana.
Questa dichiarazione, che molto probabilmente sarebbe piaciuta ai dadaisti del primo Novecento, mette in evidenza quanto siano fittizie le proposte artistiche contemporanee. La “banana” con quel gesto, infatti, non avrebbe perso il suo valore monetario, anzi sarebbe aumentato perché, come si dice in ambito borsistico, è ormai il prodotto di una cartolarizzazione, in altre parole trasformata in titoli. Questo l’ha sdoganata dall’ambito artistico e dall’oggettività trasformandola totalmente in un prodotto finanziario per il quale vale la regola della fiducia riguardo al valore con il quale è proposto sul mercato e soprattutto che questo aumenterà nel futuro. L’alta finanza, infatti, si regge forzosamente su un “debito” commercializzato.
Queste brevi considerazioni, riguardo all’economia globalizzata, richiederebbero una più sostanziosa trattazione a parte, ma sono necessarie perché valgono quale introduzione ad aspetti poco noti delle dinamiche che hanno contribuito, come vedremo, all’affermarsi di alcuni movimenti artistici nel secolo scorso.
Tornando all’opera Comedian, il finanziere che l’ha acquistata, ha potuto tranquillamente mangiare la banana, in altre parole l’opera, perché essa ormai aveva acquisito una “dimensione dematerializzata” tipica dei prodotti finanziari che esistono come “documento/certificato di possesso”.
Come preciserebbero le indicazioni riguardo alla conservazione del frutto, allegate all’opera, essendo nell’aspetto di banana un prodotto deperibile, ne è contemplata la sostituzione quando scolorisce o diventa marcia.
Come detto non si è neppure più dinanzi a un oggetto, a un prodotto materiale che può suscitare emozioni o stimolare riflessioni di vario genere, compresa la protesta politica, ma solo a un titolo finanziario, scambiabile nelle Borse affari.
Ad avergli dato inizialmente valore commerciale non è stato quanto derivabile da possibili aspetti intellettuali che potevano essere espressi attraverso di essa ma l’identità dell’autore. Egli vale come brand o marchio commerciale, quotato, prima della Borsa finanziaria, in quella dell’arte. Lo conferma l’accusa di plagio avanzata nei suoi confronti da un altro artista il quale, prima di lui, aveva esposto in modo simile due banane. Questo non era accreditato, come l’autore padovano, presso le gallerie che controllano il settore a livello mondiale e quindi la sua opera non ha riscosso l’attenzione mediatica.
Entrambe le opere o situazioni artistiche riconducano all’arte concettuale detta polisemantica, aperta e sviluppabile secondo molteplici possibilità interpretative. Nel caso di Comedian la sua edibile caducità costituirebbe un’umoristica riflessione o meglio addirittura una beffa nei confronti della concezione capitalistica dell’arte e più in generale del possesso. Così la fruizione elitaria dell'opera, in un gioco di specchi, ridicolizzerebbe le differenze di censo fra i super ricchi e le persone comuni. In realtà l’artista partecipa pienamente al “gioco” e questo lo priva d’innocenza e d’imparzialità semantica.
È vuota e sterile pure ogni pretesa che essa costituisca una critica e una proposta alternativa ai paradigmi della cultura occidentale attuale. Se si confrontano le critiche e le proposte che vorrebbero offrire indicazioni riguardo a un rinnovamento generale dell’arte, ben poco scalfisce le cause profonde della crisi.
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Pannello con il valore dei titoli scambiati durante una seduta di Borsa |
Che l’arte sia stata ridotta a un prodotto speculativo alternativo ai bond, ai certificati azionari e altro, è uno degli indicatori che essa non è più in grado di svolgere il suo ruolo, quello di connettere l’essere umano alla sua ricerca di una dimensione superiore; una visione cosmologica e metafisica persa dal Rinascimento.
Così, nelle grandi aste, gli acquisti d’importanti opere d’arte, spesso sono parte delle strategie di fondi d’investimento che contribuiscono a far lievitare in modo imprevisto il valore delle opere in vendita. Per citare qualche esempio, nel 2016 Donne d’Algeri di Pablo Picasso è stata pagata 179,4 milioni di dollari (compresi i diritti d’asta). In una trattativa privata, l’anno precedente, un’opera di William De Kooning era stata scambiata a oltre 300 milioni di dollari. Record che prossimamente saranno superati per emulare quello del Salvator Mundi attribuito a Leonardo, che nel 2017, ha raggiunto la cifra di 400,3 milioni di dollari.
Le potenzialità di speculazione offerte dall’arte furono comprese nel 1904 da André Level, uomo d’affari e collezionista francese che coinvolse una dozzina d’investitori accomunati da interessi economici e artistici. Li riunì in una associazione denominata, con ironia, “Pelle d’orso”.
La proposta finanziaria di André Level, quasi una provocazione secondo l’abitudine dei movimenti artisti del periodo, faceva riferimento al detto: “Non bisogna vendere la pelle dell’orso prima di averlo scuoiato”. Nel caso dell’iniziativa ciò che interessava era il potenziale aumento di valore dei quadri messi all’asta e che proprio tale azione doveva produrre. Vendere e comprare prodotti, che spesso neppure si detengono, fidando nei loro cambiamenti di valore alla fine di un determinato periodo, è uno dei modi secondo le quali opera il mercato finanziario di titoli, obbligazioni e quant’altro su cui si può speculare.
I partecipanti, secondo gli accordi, avrebbero versato per un decennio una quota annuale che sarebbe stata investita nell’acquisto di quelle che all’epoca erano opere d’arte contemporanea di artisti quasi sconosciuti. La collezione così creata sarebbe stata venduta, alla fine del periodo, in un’asta pubblica. Questa si tenne il 2 marzo 1914 presso l’Hotel Drounot a Parigi con la messa in vendita di tele di Matisse, Picasso e Van Gogh e altri. L’iniziativa ebbe successo e alcune opere furono cedute a un prezzo dieci volte superiore a quello d’acquisto. Il record fu raggiunto dalla Famiglia di saltimbanchi di Pablo Picasso che pagata, cinque anni prima 1000 franchi, fu acquistata alla cifra di 11500.
L’azione speculativa attirò l’attenzione su dei pittori le cui opere prima, non rispettando i gusti del periodo, non interessavano a nessuno. L’ironia di tutto ciò è che quelli artisti idealmente e politicamente contestavano il mondo della finanza; pochi di loro, però, quando esso li scoprì, si opposero al successo economico.
Giovanni Golfetto
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