La nostra storia sembra insegnarcelo: ogni qual volta si avverte l’esigenza di regolare l’uso di una lingua secondo una norma ben precisa, si verifica contemporaneamente una crisi identitaria dei parlanti.
A ben vedere è anche logicamente comprensibile: si regola sempre “dall’esterno” ciò che “già a posto” non è. La sempre crescente tolleranza nei confronti dell’errore grammaticale nonché la aperta affermazione (lo si intenda: da parte del cittadino medio, digiuno da studi di linguistica) del valore dei dialetti locali quali varianti della lingua nazionale è, dunque, da intendersi come segnale di una acquisita piena italianità oppure le “divisioni interne” , sulla bocca di molti in questo momento storico delicato, sono ancora forti e si è semplicemente cambiato punto di riferimento per definire l’identità di popolo?