Recensisco volentieri i tre racconti e le poesie di Roberto Maggi, perché mi danno l’opportunità di parlare dell’insensatezza dell’essere umano nella contemporaneità.
Ma prima di tutto, chi è Roberto Maggi? Viene definito poeta biologo.
Recensisco volentieri i tre racconti e le poesie di Roberto Maggi, perché mi danno l’opportunità di parlare dell’insensatezza dell’essere umano nella contemporaneità.
Ma prima di tutto, chi è Roberto Maggi? Viene definito poeta biologo.
Se su la porta dell’Inferno è scritto: Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate su la porta de’ monasteri ancora puossi scrivere il medesimo.
In attesa del suo prossimo libro, ho intervistato Giuseppe Raudino, docente di comunicazione all’università di scienze applicate di Groninga (Paesi Bassi) e scrittore di romanzi. Nel 2019 sono usciti Mistero nel Mediterraneo (edito da Genesis Pulishing) e Stelle di un cielo diviso (edito da Polidoro).
Il male, nel Terzo Reich, aveva perduto la proprietà che permette ai più di riconoscerlo per quello che è la proprietà della tentazione. Molti tedeschi e molti nazisti, probabilmente la stragrande maggioranza, dovettero esser tentati di non uccidere, non rubare, non mandare a morire i loro vicini di casa […]; e dovettero esser tentati di non trarre vantaggi da questi crimini e divenirne complici. Ma Dio sa quanto bene avessero imparato a resistere a queste tentazioni.
Lei è Hannah Arendt e il libro, celeberrimo e indiscutibilmente pregnante, è La banalità del male. Nel 1961, a Gerusalemme, davanti al Tribunale distrettuale, dopo essere stato catturato l’anno prima a Buenos Aires, Adolf Eichmann, “burocrate ligio e zelante”, organizzatore della cosiddetta “soluzione finale” della questione ebraica, viene sottoposto a processo. Deve rispondere di quindici imputazioni, relative a crimini commessi sotto il regime nazista e lui, difeso dall’avvocato di Colonia Robert Servatius, si dichiara “non colpevole nel senso dell’atto d’accusa”.
«Hai mai letto quella roba di Camus? Forse è lo sforzo che ti fa bene, no?» dice Cristoph Waltz a un certo punto, quando il film è quasi finito. E poi, dopo un po’, Wallace Shawn sorride, e probabilmente sorridono anche gli spettatori in sala.
Giacomo Leopardi, poeta del pessimismo. Un consolidato filone di esegesi letteraria, per decenni, ci ha presentato il poeta di Recanati – che in realtà, a ben analizzare, prima di essere un poeta è un filosofo – come un autore dalla marcata inclinazione pessimistica. Se dovessimo dare una rapida definizione di “pessimismo”, sicuramente diremmo, di primo acchito, che il pessimista è colui che “vede tutto nero”, che ha una percezione peggiorata e drammatica della realtà che vive e che lo circonda. La nostra riflessione di oggi si attesta su una domanda: con quali occhi Giacomo Leopardi osservò la vita? La rigorosa categorizzazione letteraria – che ha l’amaro sapore della tragedia annunciata – con la quale la poetica dello scrittore è stata imprigionata ed etichettata in “pessimismo storico”, “pessimismo cosmico” e “pessimismo eroico”, può essere considerata valida? Oppure, alla luce di un’attenta lettura delle sue opere, andrebbe de-costruita?
Osservazioni sul Canto quinto dell’Inferno. Attraverso l’infelice ed eterna storia d’amore tra Paolo e Francesca, Dante Alighieri descrive l’amore: una potenza divina capace di sopravvivere alla morte e al degrado del regno infernale
Negli ultimi decenni dell’Ottocento, dopo quasi sei secoli di dominio indiscusso su un territorio appartenente a tre distinti continenti, l’Impero ottomano entrò definitivamente in crisi, iniziando pian piano a disgregarsi. Esso cedette alle spinte indipendentistiche dei popoli sottomessi e alle mire espansionistiche delle maggiori potenze europee. Anche l’autorità del sultano perse gradualmente vigore; questo permise l’affermarsi dei Giovani turchi, un movimento nazionalista composto per lo più da funzionari e militari. Nel 1908 con un colpo di stato i Giovani turchi riuscirono a imporsi sul sultano. Assunto il potere, essi cominciarono a lavorare con l’intento di rendere l’Impero ottomano uno Stato moderno, forte e soprattutto coeso, ben più di quanto lo fosse stato in passato.
«Dove siamo?
Dovunque mi volti, non vedo che dei folli.»
Molière, Les fâcheux
Per Jean-Baptiste Poquelin, in arte Molière, il 1664 sembra essere l’anno della svolta: già popolarissimo a corte grazie alle prime farse e commedie di enorme successo, in primavera la sua nuova pièce, Le Tartuffe, ou l’Hypocrite, va in scena a Versailles per la prima volta. Il drammaturgo parigino si sente pronto, forte della convinzione che si porta dietro fin dagli esordi: la commedia non può (e non deve) accontentarsi di parlare solo di corna e gelosia, scappatelle e paturnie amorose; il suo compito è piuttosto capire cosa non va nella società, metterlo in ridicolo e cambiarlo attraverso la risata, stimolare la riflessione nel pubblico senza però rinunciare alla sua vocazione comica. Ed è proprio questo che Tartuffe rappresenta, lo sforzo maggiore mai compiuto da Molière in tal senso, la tappa più importante del suo progetto di “nobilitazione del ruolo della commedia”.
Mary Shelley appare nella maggior parte delle immagini arrivate fino a noi, come una donna sottile con lo sguardo timido ma chiaro e profondo. Studiando la sua biografia quello che mi ha maggiormente colpito è stato vederla bambina, nascosta dietro una delle poltrone di casa ed ascoltare Coleridge declamare La Ballata del Vecchio Marinaio. Ho sentito l’atmosfera cupa e nebbiosa che deve aver avvolto la sua mente che immaginava la maledizione lanciata dall’albatros ucciso dal marinaio e costretto ad attraversare mari e fantasmi alla ricerca della salvezza e del vero sé.
È una declinazione filosofica dell’amore, quella contenuta ne Le cose dell’amore di Umberto Galimberti, che non ne risparmia i fantasmi, le sfaccettature più celate e quelle meno nobili. Un libro a tratti enigmatico, a tratti rivelatore, come è in fondo l’amore stesso.
All’inizio del 1881 Giovanni Verga pubblica I Malavoglia, il suo romanzo di maggior, anche se tardivo, successo. A quel tempo Carlo Collodi è già giornalista e scrittore affermato e ha da poco messo mano al suo indiscusso capolavoro, Le avventure di Pinocchio, il quale dal 7 luglio 1881 esce a puntate sul «Giornale per i bambini». Al di là della vicinanza cronologica delle due pubblicazioni, il romanzo verghiano e la fiaba collodiana possono essere accostati in quanto espressioni di quella narrativa italiana di fine Ottocento che dà voce alle inquietudini e alle aspirazioni di una nuova generazione; generazione che subisce al tempo stesso la delusione postrisorgimentale e la forza attrattiva della nascente modernità.
Vita e Morte; Infanzia e Età Adulta; Innocenza e Ipocrisia; Ingenuità e Consapevolezza; Commedia e Tragedia: Natale in casa Cupiello mette in scena lo scontro dei contrari
Nella prima parte abbiamo accennato ai vari livelli di lettura del capolavoro boccacciano, notando al terzo punto la presenza e l’importanza che riveste l’anarchia tipica del carnevale in molte novelle.
Ogni opera d’arte è una porta che fa accedere ad infiniti corridoi ed ognuno di questi conduce ad una destinazione diversa. Il Decameron, «cognominato prencipe Galeotto», di Giovanni Boccaccio non fa eccezione.